Le pratiche commerciali scorrette ai tempi del Coronavirus: il caso GoFundMe

Il Coronavirus ha stravolto le nostre vite, e sta mettendo a dura prova il sistema Paese.

Il Governo, anche tramite la Protezione Civile, e gli Enti locali stanno intervenendo con disposizioni eccezionali che incidono su diritti e libertà dei cittadini, come nel caso della libertà di movimento e della protezione dei dati personali.

Ma non è questo il tema su cui vorrei soffermarmi.

Com’è noto, si sono susseguite iniziative di solidarietà e raccolta fondi, soprattutto in favore di strutture sanitarie, volte ad implementare i reparti di terapia intensiva.

L’iniziativa che ha raccolto maggiori entusiasmi (e fondi) è stata quella organizzata dagli influencers Chiara Ferragni e Fedez, in favore dell’Ospedale San Raffaele di Milano; nel momento in cui si scrive, le donazioni per tale raccolta ammontano ad € 4.425.290. Per quel che qui interessa, la raccolta è stata organizzata sul portale gofundme.com (https://it.gofundme.com/, GoFundMe Ireland Ltd), che si autodefinisce “Il più grande sito al mondo di crowdfunding sociale e personale”.

Proprio in relazione a tale portale di raccolta fondi, però, è recentemente intervenuta l’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (d’ora in avanti AGCM) con un provvedimento cautelare.

Chiara Ferragni e Fedez

L’intervento dell’Autorita’

Al termine dell’adunanza di domenica 22 marzo 2020, infatti, l’AGCM ha disposto un intervento in via cautelare nei confronti di GoFundMe.

A dire del Garante, mentre il portale promuove la possibilità di effettuare le donazioni, tra cui molte sono attualmente in favore degli ospedali e reparti ospedalieri delle zone più colpite dall’emergenza Coronavirus, in maniera gratuita e senza costi per il donante, in realtà nasconde costi connessi alle transazioni elettroniche (che avvengono, quindi, con carta di credito o debito).

Ma, soprattutto, e nonostante la manifestata gratuità del servizio, al momento del calcolo dell’offerta preimposta una “donazione in favore di sé stessa” pari al 10% di quanto donato. Solo indagando sul contenuto del menu a tendina è possibile selezionare l’incerta dicitura “Altro”, e poi modificare manualmente la percentuale di “commissione” in favore di GoFundMe in 0%, o in qualunque altra percentuale si desideri. Tale pratica, a dire dell’Autorità, integra un indebito condizionamento nei confronti dei soggetti donanti, ed una pratica commerciale scorretta, ancor più lesiva perché realizzata nei confronti di soggetti che agiscono per beneficenza, e che quindi hanno un’attenzione ridotta.

Il codice del consumo e le pratiche commerciali scorrette

Il Codice del Consumo, d.lgs. n. 206/2005, pone un divieto di adozione di pratiche commerciali scorrette ed aggressive negli artt. 20, 21, 22, 23, 24, e 25.

Ai sensi dell’art. 20, comma 2, d.lgs. 206/2005, “Una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori”.

È definita ingannevole, invece, ai sensi dell’art. 21, comma 1, d.lgs. 206/2005, “… una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso … d) il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo…”. Nel caso di specie è possibile rintracciare un’omissione ingannevole da parte di GoFundMe, perché al momento dell’indicazione della donazione non solo preimposta una commissione del 10%, ma omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale, e induce in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso (ossia, nella gran parte dei casi, lasciare la commissione del 10%).

L’interfaccia al 24.3.2020

Il provvedimento cautelare dell’Autorita’

All’esito del (rapido) procedimento istruttorio n. PS11726, l’AGCM ha valutato positivamente le esigenze cautelari.

Il fumus boni iuris sarebbe rappresentato dall’evidente ingannevolezza della pratica di calcolo delle “commissioni” da parte del portale “gratuito” GoFundMe; il periculum in mora, ossia il pregiudizio imminente, risulterebbe dal tragico contesto in cui ci troviamo, nel quale i consumatori tratti in inganno sarebbero davvero tantissimi.

Con il provvedimento cautelare del 22.3.2020, l’AGCM ha disposto la disattivazione della modalità di preattivazione della commissione da esso incassata (il 10%), con obbligo di fissazione dell’importo indicato nello spazio dedicato alla scelta della commissione con un valore pari a “0%”, che potrà essere eventualmente modificato dal consumatore.

Conclusioni

Nel momento in cui si scrive (24.3.2020, ore 16:00), la procedura di donazione sul portale GoFundMe risulta ancora preimpostata su una commissione del 10%.

GoFundMe avrebbe dovuto modificare l’interfaccia già a partire dalla comunicazione del provvedimento. Ha tre giorni per inviare una relazione che dia conto delle iniziative assunto per dargli ottemperanza e, ovviamente, potrebbe presentare ricorso al TAR.

La questione affrontata dall’AGCM non è di poco momento; solo in relazione alla raccolta fondi per il San Raffaele, GoFundMe potrebbe aver incassato circa € 443.000,00, ipotizzando che nessun consumatore abbia modificato l’importo della donazione per il portale.

Il caso evidenzia ancora una volta come le piattaforme possono influenzare i consumatori con claim ingannevoli. Si veda ad esempio la sentenza n. 4976/2019 del Consiglio di Stato, con la quale sono stati ritenuti ingannevoli i claim assertivi presenti nella home page del sito Tripadvisor, tali da influenzare i consumatori circa il falso convincimento dell’affidabilità e della genuinità delle recensioni pubblicate (tra i tanti claim ingannevoli: “Non importa se preferisci le catene alberghiere o gli hotel di nicchia: su tripadvisor puoi trovare tante recensioni vere e autentiche, di cui ti puoi fidare”).

Il quadro normativo attuale impone ai professionisti di mettere il consumatore medio in condizione di autodeterminarsi sin dal primo contatto pubblicitario (Cons. Stato, Sez. VI, 22/7/2014, n. 3896). Anche e soprattutto per gesti così importanti e vitali come le donazioni, quando avvengono in casi particolarmente delicati tali da ridurre la sua attenzione e comprensione.


Fonti:

Codice del Consumo.

Provvedimento cautelare AGCM del 22.3.2020.

Consiglio di Stato n. 4976/2019.

Avv. Paolo Palmieri

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