Sostanze stupefacenti, tra fattispecie di lieve entità ed esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto

La disciplina penale degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope è uno dei punti più dibattuti del nostro ordinamento.

Proviamo a capire, grazie alla giurisprudenza più recente, il sistema sanzionatorio penale attuale, alla luce delle modifiche legislative e dell’introduzione nel codice penale dell’istituto della particolare tenuità del fatto.

La fattispecie incriminatrice generale

Innanzitutto, la norma chiave è l’articolo 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (“Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”), rubricato “Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti e psicotrope”, il quale, al comma 1, prevede che: “Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’art. 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000”.

Si ricorderà che la Corte Costituzionale, con la famosa sentenza n. 32/2014, ha ridefinito le pene applicabili al reato di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti: per quanto riguarda le sole pene detentive, infatti, se il fatto riguarda le cosiddette “droghe leggere” si potrà avere l’applicazione di una pena da due a sei anni di reclusione, mentre in caso di cessione di cosiddette “droghe pesanti” la pena potrà variare tra gli otto e i venti anni di reclusione.

La fattispecie incriminatrice, ora autonoma, dello spaccio di lieve entità

Con intento ordinatorio, nel 2013 il legislatore è intervenuto sul comma 5 dell’articolo 73 (con il D.L. n. 14 del 23/12/2013, convertito con modificazioni dalla L. n. 10 del 21/02/2014) non solo modificando la cornice edittale di riferimento, ma attribuendo a quest’istituto la dignità di fattispecie di reato autonoma, mentre in passato si trattava di una mera circostanza attenuante dell’articolo 73, comma 1.

Il comma 5 dell’art. 73 così prevede:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329

In altri termini, ora, qualsiasi condotta (coltivazione, spaccio, detenzione, …) può essere considerata lieve se, avuto riguardo ai mezzi, alle modalità o alle circostanze dell’azione ovvero alla qualità e quantità delle sostanze detenute, la stessa provochi una minima offensività rispetto al bene protetto, ad esempio perché comporta una ridotta capacità di diffusione della droga sul territorio.

La Suprema Corte di Cassazione, con la chiarificatrice sentenza n. 13982/2018, ha precisato dettagliatamente quali debbano essere i criteri di distinzione della fattispecie di lieve entità, dalla fattispecie primaria, che non può mai essere effettuata per “sottrazione” e che non può prescindere da un’adeguata valorizzazione della fattispecie minore; in modo tale che la fattispecie principale possa essere applicata solo nei casi in cui la condotta assuma connotati di offensività peculiari.

In altri termini, il riferimento alle modalità e circostanze dell’azione non può in alcun modo implicare che siano ostativi alla configurazione dell’ipotesi minore la continuatività delle condotte o lo svolgimento di attività in qualche guisa organizzata, elementi altrimenti tali da impedire in limine la configurabilità dell’ipotesi associativa minore.

Ad esempio, soprattutto il dato quali-quantitativo delle sostanze stupefacenti, in presenza di condotte aventi ad oggetto detenzione o cessione di quantitativi rilevanti, prosegue la Corte, può non assumere rilievo decisivo, se non corroborato da altri dati come l’offensività, le fonti di approvvigionamento stabili, le relazioni tra il soggetto ed il mercato, l’organizzazione complessa o meno, la presenza di una piazza di spaccio. Tutto ciò implica una valutazione minuziosa da parte del giudice di merito, che non può limitarsi a riferirsi genericamente a dati che non hanno significato, presi singolarmente.

Per la Cassazione, la lievità o meno della condotta deve essere affrontata caso per caso, affinché siano tenute in debito conto tutte le possibili variabili (Cass. Penale, Sez. VI, n. 46495/2017), ed il Giudicante deve, quindi, determinare e calibrare il trattamento sanzionatorio più adeguato alle specifiche circostanza e modalità del caso, rifuggendo da ogni automatismo (Cass. Penale, Sez. VI, n. 39374/2017).

È indubbio che il dato più dirimente sarà la quantità di droga detenuta del reo, a seconda che superi o meno il dato ponderale in relazione alla specificità del luogo di commissione del reato. È il caso del c.d. piccolo spaccio, che si caratterizza per una minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro, nonché con guadagni limitati (Cass. Penale, Sez. VI, n. 15642/2015). Così come dirimente sarà la grandezza del mercato di riferimento, ovvero il numero rilevante di tossicodipendenti che l’imputato è in grado di rifornire, indipendentemente dalla cattiva qualità o dalla bassa capacità drogante (così Cass. Penale Sez. VI, n. 8219/2018).

Inoltre, non è una circostanza dirimente, ai fini della configurabilità del fatto di lieve entità o meno, la diversità delle sostanze trafficate; potendo, la stessa, ricorrere indifferentemente in entrambi i casi. Idem per la circostanza del rinvenimento della sostanza stupefacente già suddivisa in dosi, essendo anch’essa non esclusiva dello spaccio di maggiore entità (così Cass. Penale Sez. VI, n. 5517/2018, in una sentenza di rigetto dell’impugnazione, ma con correzione ex art. 619, comma 1, c.p.p.).

La giurisprudenza sul punto è altalenante, ma negli ultimi tempi sembrerebbe propendere per un ampliamento della fattispecie del piccolo spaccio. Ad esempio, una recente pronuncia del Tribunale di Macerata, del 18 ottobre 2017, Sez. GIP/GUP, giudice Domenico Potetti, ha ritenuto che la fattispecie minore prevista dall’art. 73, comma 5, del DPR ben può ricorrere anche in caso di reiterazione nel tempo delle attività di spaccio (di uno spacciatore seriale anche di “droga pesante”); e/o di possesso di un non indifferente numero di dosi; e/o nel caso in cui lo spaccio sia posto in essere grazie all’organizzazione di più persone. Ciò che rileva, infatti, nell’ipotesi del “piccolo spaccio” è il  “caratterizzarsi per una complessiva minore portata delle attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro, e guadagni limitati, può però comprendere anche la detenzione di una “provvista” (più o meno ampia a seconda del valore della sostanza) della sostanza finalizzata a una piccola ma comunque proficua attività di vendita al dettaglio e che la pena sia ragionevolmente proporzionata ad esso”.

Sulla base dello stesso orientamento, il Tribunale di Larino, sentenza 9 febbraio/9marzo 2017 n. 66, Giudice Dott. Colucci, ha invocato la fattispecie di lieve entità per un imputato trovato in possesso di quattro panetti di hashish, ritenendolo un quantitativo inidoneo all’uso personale, ma comunque circoscritto.

La non punibilità per particolare tenuità del fatto

Con la dichiarata finalità di deflazionare il carico di lavoro dell’amministrazione della giustizia, è stato introdotto l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto con il d.lgs. n. 28 del 2015, emanato in ottemperanza alla legge delega n. 67 del 2014, art. 1, comma 1, lett. m), aggiungendo l’art. 131 bis al codice penale, il quale stabilisce che la punibilità è esclusa quando:

Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.

Innanzitutto, può beneficiare di tale esclusione della punibilità solo l’imputato per la fattispecie criminosa di cui al comma 5 dell’art. 73 DPR 309/2017, ossia quella della lieve entità, in quanto rientrante nel limite sancito della pena detentiva massima di 5 anni (la fattispecie di non lieve entità è sanzionata, infatti, con la reclusione da sei a venti anni).

A differenza dell’art. 73, comma 5, DPR 309/1990, dunque, tramite l’art. 131 bis c.p. non ci sarà solo una riduzione della pena, ma sarà esclusa totalmente la punibilità anche qualora la condotta sia stata effettivamente tenuta.

Occorre valutare, a distanza di oltre due anni, quale sia stato l’impatto che la riforma ha avuto in tema di sostanze stupefacenti.

Analizzando le principali pronunce, si ricava che il punto fermo sia la necessità, per il giudice di merito, di motivare analiticamente la scelta dell’utilizzo o meno dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Ad esempio, la Suprema Corte, con la sentenza n. 36616/2017, ha accolto il ricorso di un imputato per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (fattispecie di lieve entità), il quale lamentava, appunto, l’erronea valutazione della non punibilità ex art. 131 bis c.p. da parte della Corte d’Appello. Ebbene, ad avviso della Cassazione, l’imputato deve andare prosciolto anche quando esistano nei suoi confronti plurime denunce per altri reati relativi a sostanze stupefacenti.

Questo perché l’art. 131 bis c.p., nel configurare le ipotesi di non punibilità per particolare tenuità del fatto, e nel definire le ipotesi di comportamento abituale, non ricomprende l’ipotesi di altre denunce a carico dell’imputato per reati dello stesso tipo, ma solo le ipotesi di condotte seriali, individuate tramite procedimenti penali definiti o pendenti.

Sempre sul tenore della mancanza di motivazione da parte della Corte d’Appello, è la sentenza della Cassazione n. 52721/2017, ad avviso della quale anche in relazione ad una condotta criminosa di coltivazione di 18 piante di canapa indiana, rientrante nella fattispecie di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, DPR 309/1990, la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare complessivamente le peculiarità del caso concreto, le modalità della condotta, ed il grado di colpevolezza utili a pronunciarsi approfonditamente sulla non punibilità per la particolare tenuità della condotta di coltivazione illecita.

Bonus 1: Nell’ambito dell’allargamento delle maglie sanzionatorie, il Tribunale di Firenze, con sentenza 13 luglio/7 settembre 2017 n. 3222, Giudice Martini, senza ricorrere all’art. 131 bis c.p., ha assolto l’imputato nella cui abitazione erano state rinvenute 31 piantine di marjuana, “in quanto la concreta e reale offensività della condotta a lui contestata non era stata accertata in modo tale da conoscere la reale capacità drogante delle piante, e la quantità di principio attivo disponibile”. Così come la Suprema Corta ha assolto un imputato per la coltivazione in abitazione di sei piantine di cannabis dell’altezza di 90 cm, contenenti un quantitativo di THC pari a 42 dosi, perché inidonea “a determinare la possibile diffusione della sostanza producibile” e la “moltiplicazione delle occasioni di lesione della salute pubblica (Cass. Penale, Sez. III, n. 36037/2017) .

Bonus 2: La Corte Costituzionale, con la sentenza 9 febbraio 2018, n. 22, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2 del nuovo codice della strada nella parte in cui prevede l’automatica revoca della patente di guida da parte del Prefetto per l’ipotesi di condanna per i reati di cui agli artt. 73 e 74 del testo unico stupefacenti (D.P.R. 309/1990) intervenuta in data successiva a quella di rilascio della patente medesima, perché “ricollega, infatti, in via automatica … la revoca di quel titolo, ad una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di omogeneità, atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve, entità”.

Avv. Paolo Palmieri

 

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