E’ possibile indicare DO di vini nelle etichette di altri prodotti alimentari?

La disciplina delle denominazioni di origine dei prodotti alimentari è sempre stata controversa. La sua finalità è quella di proteggere il prodotto medesimo da un suo illegittimo sfruttamento.

Fin dal Reg. UE n. 1234/2007, le protezioni delle DOP e delle IGP costituisce uno strumento della politica agricola comune mirante essenzialmente a garantire ai consumatori che i prodotti agricoli muniti di un’indicazione geografica registrata in forza di tale regolamento presentino, a causa della loro provenienza da una determinata zona geografica, talune caratteristiche particolari e, pertanto, offrano una garanzia di qualità dovuta alla loro provenienza geografica.

La sentenza del 20 dicembre 2017 della Corte di Giustizia UE, nella causa C-396/2016, affronta e risolve la questione relativa alle condizioni per le quali può legittimamente venire usato, sull’etichetta di un prodotto alimentare, il nome della DOP di un suo ingrediente.

È una sentenza molto importante, perché si pone in contrasto con la disciplina italiana dettata con il Testo Unico sul Vino, la l. 238/2016, e lascia ampio spazio all’utilizzo delle denominazioni di origine nelle etichette dei prodotti alimentari, a determinate condizioni.

In sostanza, per la Corte Ue, è legittimo usare sull’etichetta di un prodotto alimentare il nome della DOP di un suo ingrediente, qualora quest’ultimo conferisca al suddetto prodotto una caratteristica essenziale.

La vicenda trae origine da una causa promossa in Germania dal Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne a tutela della DOP “Champagne” contro la catena tedesca Aldi Süd Dienstleistungs-GmbH & Co. OHG, che aveva messo in vendita un gelato a base di Champagne definito “Champagner Sorbet” contenente una percentuale di Champagne pari al 12%.

Vittorioso in primo grado, ma soccombente dinanzi al giudice d’appello, il Comitato francese aveva proposto ricorso per la cassazione della pronuncia di secondo grado. La Suprema Corte adita ha ritenuto di dover effettuare un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte UE affinché fornisse la giusta interpretazione della normativa comunitaria relativa alla protezione delle denominazioni di origine, rappresentata prima dall’art. 118 del Reg UE n. 1234/2007, in vigore all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, sia dall’art. 103 del Reg. UE n. 1308/2013, il quale, dal 1 gennaio 2014, ha abrogato il regolamento n. 1234/2007.

L’uso della DOP “Champagne” da parte di Aldi non era diretto a contraddistinguere un vino, ma ad indicare che il gelato contenesse Champagne; non si può parlare di uso ingannevole di una DO, né di uso mezzi che indichino o suggeriscano che il prodotto provenga da una località diversa dal vero luogo di origine.

Questa pronuncia costituisce un freno alla politica inibitoria adottata dal Comitato francese, che da anni si batte contro qualsiasi utilizzo del termine Champagne. Sul punto è da ricordare la recente sentenza del Tribunale di Brescia n. 225/2017, con la quale il Comitato ha ottenuto l’inibitoria all’utilizzo della denominazione “Champagne” quale segno distintivo nell’insegna, nel materiale pubblicitario e commerciale, di un esercizio commerciale.

Con la prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio ha chiesto, in sostanza, se l’articolo 118 quaterdecies, paragrafo 2, lettera a), ii), del regolamento n. 1234/2007 e l’articolo 103, paragrafo 2, lettera a), ii), del regolamento n. 1308/2013, che hanno contenuto analogo, devono essere interpretati nel senso della loro applicabilità anche quando una DOP, come “Champagne”, sia impiegata come parte di una denominazione con cui è venduto un prodotto alimentare, come “Champagner Sorbet”, non conforme al disciplinare di produzione di tale DOP, ma contenente un ingrediente conforme al disciplinare medesimo. E la Corte UE ha risposto affermativamente.

Con la seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio ha chiesto, in sostanza, se l’articolo 118 quaterdecies, paragrafo 2, lettera a), ii), del regolamento n. 1234/2007 e l’articolo 103, paragrafo 2, lettera a), ii), del regolamento n. 1308/2013 devono essere interpretati nel senso che l’utilizzo di una DOP come parte di una denominazione con cui è venduto un prodotto alimentare non conforme al disciplinare di produzione relativo a tale DOP, ma contenente un ingrediente conforme al medesimo, come “Champagner Sorbet”, costituisca uno sfruttamento della notorietà di una DOP, ai sensi di tali disposizioni, laddove la designazione del prodotto alimentare corrisponda alla prassi denominativa del pubblico di riferimento e l’ingrediente sia aggiunto in quantità sufficiente per conferire a tale prodotto una caratteristica essenziale.

Ed è qui che la Corte UE ha fissato un principio chiave sul tema: ripassando alcune pronunce fondamentali, come la sentenza del 14 settembre 2017, EUIPO/Instituto dos Vinhos do Douro e do Porto (C‑56/16 P, EU:C:2017:693), per quanto riguarda le protezioni delle DOP e delle IGP, e la sentenza del 14 luglio 2011, Bureau national interprofessionnel du Cognac (C‑4/10 e C‑27/10, EU:C:2011:484) sui riferimenti espliciti o impliciti ad un’indicazione geografica in condizioni idonee o a indurre il pubblico in errore, definisce quando ci sia sfruttamento indebito della notorietà di una DOP.

In altre parole, la denominazione “Champagner Sorbet” utilizzata per designare un sorbetto contenente champagne è idonea a ripercuotere su tale prodotto la notorietà della DOP “Champagne”?

Una denominazione registrata come DOP può essere menzionata all’interno della denominazione di vendita di un prodotto alimentare che incorpora prodotti che beneficiano di tale DOP, se l’ingrediente in questione conferisce al prodotto alimentare in esame una caratteristica essenziale; e la quantità di tale ingrediente nella composizione del suddetto alimento costituisce un criterio importante, ma non sufficiente.

Spetta dunque al giudice nazionale, di volta in volta, valutare, alla luce delle circostanze di ogni singolo caso, se un impiego del genere sia volto a sfruttare la notorietà di una DOP o meno, verificando se tale alimento abbia una caratteristica essenziale connessa a tale ingrediente. Tale caratteristica è costituita spesso dall’aroma e dal gusto che l’ingrediente apporta: se il gusto del prodotto alimentare è determinato in maggior misura dagli altri ingredienti in esso contenuti, l’utilizzo di un tale denominazione trae indebito vantaggio della notorietà della DOP in questione.

La Corte UE ha anche chiarito come l’art. 118 quaterdecies, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1234/2007, come modificato dal regolamento n. 491/2009, e l’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1308/2013, devono essere interpretati nel senso che l’utilizzo di una denominazione di origine protetta come parte della denominazione con la quale viene posto in vendita un prodotto alimentare non conforme al disciplinare di produzione relativo a tale denominazione di origine protetta, ma contenente un ingrediente conforme al medesimo, come “Champagner Sorbet”, non costituisce un’usurpazione, un’imitazione o un’evocazione, ai sensi di tali disposizioni.

All’inizio dell’articolo ci si è chiesti se tale sentenza si ponga in contrasto con l’art. 44, comma 9, del Testo Unico sul Vino. Questo recita:

“E’ consentito l’utilizzo del riferimento a una DOP o IGP nell’etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità di prodotti composti, elaborati o trasformati a partire dal relativo vino a DOP o IGP, purché gli utilizzatori del prodotto composto, elaborato o trasformato siano stati autorizzati dal Consorzio di tutela della relativa DOP o IGP riconosciuto ai sensi dell’articolo 41, comma 4. In mancanza del riconoscimento del Consorzio di tutela, la predetta autorizzazione deve essere richiesta al Ministero”.

La norma richiede dunque un’autorizzazione da parte del Consorzio o del Ministero per l’utilizzo di una denominazione nell’etichettatura dei prodotti agroalimentari, a meno che (ex art. 44, comma 10, l. 238/2016) i prodotti derivati in questione non siano preimballati e siano preparati in laboratori annessi ad esercizi di somministrazione e vendita diretta al consumatore finale (come i ristoranti), o a meno che il riferimento all’uso della DOP sia riportato esclusivamente fra gli ingredienti del prodotto confezionato assieme a tutti gli altri, senza particolari evidenziazioni.

Insomma, la sentenza della Corte UE sembrerebbe allargare le maglie dell’utilizzo in etichetta delle denominazioni di origine, qualora l’ingrediente in questione conferisca al prodotto alimentare in esame una caratteristica essenziale, ed anche senza la necessità di ricevere alcuna autorizzazione dal consorzio di tutela di detta DOP, come invece dispone il Testo Unico sul Vino.

Le conseguenze sono tutt’altro che irrilevanti. Ad esempio, le imprese potranno sfruttare la capacità attrattiva delle denominazioni di origine sulle etichette dei propri prodotti (agroalimentari e non: si pensi ad un profumo alla flaganza del Taurasi o del Chianti Classico), qualora il prodotto tutelato ne sia una caratteristica essenziale, e necessità di ottenere autorizzazione alcuna.

Avv. Paolo Palmieri

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