La violazione del diritto d’autore sui contenuti embedded e la comunicazione al pubblico

Ha fatto scalpore una recente pronuncia di una Corte Distrettuale dello Stato di New York, che, se confermata e fatta propria dalla giurisprudenza, potrebbe minare le fondamenta dell’odierna informazione online e delle pratiche di condivisione dei contenuti in rete.


I fatti

La vicenda trae origine da un’azione di risarcimento intentata dal fotografo americano Justin Goldman, il quale, nel 2016, dopo aver scattato una foto in strada del quarterback dei New England Patriots Tom Brady, e del direttore generale dei Boston Celtics Danny Ainge e di altri, aveva postato la stessa sul social network Snapchat.

Una volta postata, la foto era diventata virale, con tantissime condivisioni anche su Twitter, in quanto poteva suggerire il passaggio del cestista Kevin Durant ai Boston Celtics proprio grazie all’intermediazione di Tom Brady.

Numerosi siti di informazione (tra i quali Breitbart, Heavy Inc., Time Inc., Yahoo, Vox Media, Gannett Company, Herald Media, Boston Media Partner e New England Sports Network), quindi, avevano ripreso la notizia, incorporando i tweets con la foto in questione sui propri siti internet.


La pronuncia

L’opinion, del Giudice Estensore Katherin B. Forrest, suona quasi come un atto d’accusa nei confronti delle nuove tecnologie, ree di aver camuffato con nuovi termini gli abusi della copyright law:

“When the Copyright Act was amended in 1976, the words “tweet,” “viral,” and “embed” invoked thoughts of a bird, a disease, and a reporter. Decades later, these same terms have taken on new meanings as the centerpieces of an interconnected world wide web in which images are shared with dizzying speed over the course of any given news day. That technology and terminology change means that, from time to time, questions of copyright law will not be altogether clear. In answering questions with previously uncontemplated technologies, however, the Court must not be distracted by new terms or new forms of content, but turn instead to familiar guiding principles of copyright.”

Eppure la difesa delle testate giornalistiche è chiara nella sua semplicità: i tweets con la foto incriminata sono “incorporati” (embedded) nei loro siti web, e dunque la foto non è fisicamente presente sui loro server, ma sul sito del social network; il meccanismo dell’embedding, infatti, prevede esclusivamente delle istruzioni in codice html, nei propri siti web, che, letti dal browser dell’utente, ripropongono il contenuto posizionato su un altro server (in questo caso, sul server di Twitter).

Ebbene, per la Corte newyorkese, quando i siti informativi hanno fatto apparire il tweet incorporato nei loro siti web, hanno violato il diritto esclusivo di esibizione del ricorrente; e il fatto che l’immagine fosse ospitata su un server di proprietà e gestito da una terza parte (Twitter), non li proteggeva da tale violazione.

La Corte prende come riferimento diverse pronunce storiche, ampliandone la portata, tra cui la sentenza della Corte Suprema in ABC v. Aereo, riguardante un operatore televisivo digitale che aveva ritrasmesso programmi tutelati; Perfect 10 v. Amazon.com, riguardante le immagini in miniatura di modelli nudi che apparivano sulla ricerca immagini di Google; e Capitol Records v. ReDigi, che si occupava di rivendita di registrazioni musicali digitali “usate”.

Ma contesta l’uso del c.d. “server test”.  Questo è un test utilizzato dai giudici americani per valutare l’esistenza o meno della violazione del copyright, secondo il quale c’è la responsabilità di un editore di un sito web per violazione del copyright se l’immagine è ospitata sul proprio server. Ma, afferma il Giudice, l’uso del meccanismo del “server test” non è stato adottato da tutte le corti statunitensi, e dunque ha reputato di non seguirlo.

Un aspetto particolarmente pericoloso della pronuncia in esame, oltre alla relativizzazione del server su cui l’immagine è ospitata, è l’affermazione secondo cui le distinzioni tecniche trasparenti per l’utente non devono essere il principio su cui si basa la tutela del copyright: in altre parole, non bisogna soffermarsi sulle regole tecnico/informatiche, ma sulla conseguenza ultima.


Problemi applicativi e disciplina italiana

L’opinion appena riassunta omette di occuparsi, però, delle conseguenze della pubblicazione della foto sul social Snapchat, ed in generale sui social network. In effetti, il Giudice Forrest ammette che “there are genuine questions about whether plaintiff effectively released his image into the public domain when he posted it to his Snapchat account”, e che quindi la foto potrebbe diventare di pubblico dominio per gli utenti.

La normativa italiana sul diritto d’autore, la legge 22 aprile 1941 n. 633, distingue tra opera fotografica e semplice fotografica.

Solo la prima gode, ai sensi dell’art. 2, n. 7, l. 633/1941, della massima protezione attribuita alle opere dell’ingegno di carattere creativo; le semplici fotografie raffiguranti persone, elementi o fatti della vita naturale o sociale, conformemente a quanto previsto dall’articolo 87 l. 633/1941, sono pertanto soggette solo alla tutela prevista per i c.d. diritti connessi.

Quale condizione per l’esercizio dei suddetti diritti, l’articolo 90 l. 633/1941 richiede l’indicazione sugli esemplari della fotografia del nome del fotografo, o della ditta da cui il fotografo dipende o del committente, della data dell’anno di produzione della fotografia e del nome dell’autore dell’opera d’arte fotografata.

In assenza di tali indicazioni, la riproduzione delle immagini non è considerata abusiva e non sono dovuti i compensi di cui agli articoli 91 e 98 l. 633/1941, salva la prova della malafede in capo al riproduttore (Trib. Milano, Sez. Specializzata in materia di imprese, sentenza n. 12188/2016).

I siti di news americani dovrebbero rientrare nella nozione di “giornali o periodioci” fornita dall’art. 91, comma 3, l. 633/1941, secondo il quale “La riproduzione di fotografie pubblicate sui giornali od altri periodici, concernenti persone o fatti di attualità od aventi comunque pubblico interesse, è lecita contro pagamento di un equo compenso”.

Dunque, ricapitolando, astrattamente la foto pubblicata dal fotografo sul proprio account Snapchat non è un’opera fotografica, ma una fotografia con protezione dei diritti connessi, che però non reca alcuna delle indicazioni dell’art. 90 l. 633/1941, e che al massimo avrebbe potuto godere di un equo compenso per la riproduzione sui siti di informazione.

In questo quadro, però, subentra l’embedding, in quanto i siti di news non hanno postato direttamente la foto sulle loro pagine web, ma hanno riprodotto la foto retweettata da altri utenti tramite embedding dal social Twitter.


Comunicazione al pubblico e diritto d’autore

Come potrebbe essere risolto un caso simile in ambito UE?

La disciplina della tutela del diritto d’autore all’interno dell’Unione Europea ha come nodo centrale la direttiva 2001/29 sull’“Armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione”.

La Corte di Giustizia ha affrontato svariate volte la questione, che ruota attorno alla nozione di comunicazione al pubblico di cui all’art. 3, par. 1, direttiva 2001/29.

Ne caso C-466/12 “Svensson e a. c. Retriever Sverige AB”, i ricorrenti, tutti giornalisti del giornale cartaceo e digitale Göteborgs-Posten lamentavano che la Retriever Sverige gestiva un altro sito internet che forniva ai suoi clienti liste di collegamenti Internet cliccabili verso articoli pubblicati da altri siti internet, incluso Göteborgs-Posten. La pronuncia fa quindi riferimento all’attività di linking, che però possiamo assimilare per ora all’attività di embedding.

Ebbene, la Corte di Giustizia ha statuito che non costituisce un atto di comunicazione al pubblico …  la messa a disposizione su un sito Internet di collegamenti cliccabili verso opere liberamente disponibili su un altro sito Internet”, e che “osta a che uno Stato membro possa stabilire una maggiore tutela dei titolari del diritto d’autore” in relazione all’attività di linking.

Questa pronuncia del 13 febbraio 2014 è importante perché è stata posta a fondamento di un altro provvedimento della Corte UE più vicino alla tematica affrontata dalla Corte newyorkese.

Infatti, nella decisione C-348/13 del 21 ottobre 2014, la Corte di Giustizia ha affrontato proprio il tema del embedding, relativamente alla incorporazione di un video all’interno di un sito internet.

In particolare, la Bestwater International, un’azienda tedesca, aveva citato in giudizio due agenti di un’impresa concorrente, che avevano incorporato sul loro sito un video promozionale pubblicato dall’attrice. La Bestwater ravvisava in tale attività una lesione dei propri diritti d’autore, e richiedeva il risarcimento dei danni da questa condotta illecita. La Corte tedesca ha rinviato la questione alla Corte di Giustizia europea, al fine di ottenere una pronuncia sulla possibilità di ricondurre o meno l’embedding alla definizione di comunicazione al pubblico prevista dal predetto art. 3, par. 1, direttiva 2001/29.

Per la Corte UE, dunque, l’inserimento, all’interno di un sito, di contenuti protetti dalla normativa sul diritto d’autore e già presenti su altro sito internet – nel caso di specie, un video già raggiungibile sulla piattaforma YouTube – non consente di individuare un “pubblico nuovo”, differente da quello cui era destinata la precedente pubblicazione dell’opera. Pertanto, essendo carente uno dei due requisiti riconosciuti ai fini dell’applicazione della normativa (l’atto di comunicazione e la comunicazione di tale opera ad un pubblico), ha confermato che l’embedding non costituisce una lesione dei diritti sul materiale incorporato.

I principi fissati dalla Corte non sono di poco momento, in quanto precisa che tale conclusione non è rimessa in discussione dal fatto che, quando gli utenti cliccano sul link in questione, l’opera protetta sembra dare l’impressione che sia mostrata dal sito su cui si trova il collegamento, mentre in realtà proviene da un altro sito. Tale circostanza è, in sostanza, quella che caratterizza l’uso, come nella causa principale, della tecnica della incorporazione, che consistente nel dividere una pagina di un sito internet in più quadri e visualizzare in uno di essi, tramite un collegamento internet, un elemento di un altro sito al fine di nascondere agli utenti di questo sito l’ambiente originale a cui appartiene questo elemento”.

Certo, tale tecnica può essere utilizzata per mettere a disposizione del pubblico un’opera senza doverla copiare e quindi rientrare nell’ambito di applicazione delle disposizioni relative al diritto di riproduzione, ma resta il fatto che il suo uso non comporta che l’opera in questione venga comunicata ad un nuovo pubblico.

Infatti, fino a quando l’opera sarà liberamente disponibile sul sito a cui rinvia il collegamento internet, si dovrà considerare che, quando i proprietari del copyright hanno autorizzato questa comunicazione, hanno preso in considerazione, come pubblico, tutti gli utenti della rete.

Nei confronti dei gestori di siti di news non sarebbe invocabile alcuna responsabilità, anche se resterebbe il problema della (illegittima?) riproduzione della foto dal social Snapchat al social Twitter: l’autore della foto, in questo caso, potrebbe invocare l’illegittimità dell’utilizzo della stessa a carico di questi utenti? E come cambierebbe la risposta se l’avessero fatto postando su Twitter uno screenshot dello snap del fotografo?

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