Whatsapp e processo civile

Scritto dall’Avv. Paolo Palmieri per la rivista CyberLaws

Whatsapp, ed in generale tutti i sistemi di messaggistica istantanea, sono diventati uno strumento probatorio sempre più discusso nei giudizi civili. In questo articolo approfondiamo brevemente cosa si intende per documento informatico, come produrre (correttamente) in giudizio una chat Whatsapp, e come contestarla.

I vari tipi di documento informatico e la loro forza probatoria

Senza riprendere le definizioni ed i concetti di documento informatico ai sensi del Codice dell’Amministrazione Digitale e del Regolamento eIDAS, esistono diverse tipologie di documento informatico dinanzi alle quali potrebbe trovarsi il giurista.

Esistono documenti informatici sottoscritti con firma elettronica digitale, qualificata o avanzata, o firmati tramite un’autenticazione dell’autore (come, ad esempio, i documenti firmati con SPID, vedi Linee Guida AgID recentemente emanate), che hanno la stessa efficacia delle scritture private di cui all’art. 2702 c.c.; ossia, fanno piena prova fino a querela di falso.

Ci sono, poi, i documenti informatici sottoscritti solo con una firma elettronica semplice (si pensi al file .eml di un messaggio di posta elettronica ordinaria), la cui efficacia probatoria è liberamente valutabile dal Giudice secondi i criteri dettati dall’art. 20, comma 1 bis, CAD, e dalle Linee Guida AgID.

La copia o gli estratti informatici degli originali, e le copie analogiche di documenti informatici e gli estratti di essi, che hanno la medesima efficacia dell’originale se la conformità è attestata da un pubblico ufficiale o se non è espressamente disconosciuta a norma di legge.

Infine, le riproduzioni informatiche, che hanno l’efficacia riconosciuta dall’art. 2712 c.c. e dunque fanno piena prova se non disconosciute.

Tra l’altro, in materia processualcivilistica occorre intendersi anche sul significato di disconoscimento di un documento informatico, entrando in gioco sia l’art. 215 c.p.c., che l’art. 2712 c.c..

In generale, il disconoscimento ex art. 2712 c.c. non può effettuarsi sic et simpliciter con una mera dichiarazione di disconoscimento contenuta nell’atto difensivo; ma dovrà essere chiarocircostanziato ed esplicito, con una specifica allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e documento prodotto: la giurisprudenza è chiara nel non consentire mere formule di stile o clausole generiche (si veda, ad esempio, Cass., 19 gennaio 2018, n. 1250).

La differenzia sostanziale si riscontra, però, nei termini: mentre il disconoscimento operato ai sensi dell’art. 215 c.p.c. deve effettuarsi nel primo atto difensivo successivo, il disconoscimento ex art. 2712 c.c. segue le scadenze temporali delle preclusioni istruttorie dettate dall’art. 183, comma 6, c.p.c.. Il tutto, tenendo sempre bene a mente l’art. 115 c.p.c., ai sensi del quale il Giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita.

Come produrre in giudizio una chat Whatsapp

Da un punto di vista tecnico, è pacifico che Whatsapp utilizzi comunicazioni end-to-end, e non utilizzi server per la memorizzazione delle stesse (come, invece, fa Messenger); ciò significa che le conversazioni risiedono solo sui dispositivi degli utenti, e che l’unico modo per acquisire i dati è la copia forense del dispositivo o l’estrazione dei dati da backup locali o cloud (senza voler contare l’acquisizione forense tramite Whatsapp Web, ad esempio utilizzando un software come FAW). Tra l’altro, anche i backup sono cifrati con una chiave unica per ogni account.

Il modo più sicuro per depositare in giudizio una chat Whatsapp è depositare anche il dispositivo che contiene la chat in questione, in modo tale da consentire la verifica di autenticità da parte di un eventuale CTU in caso di (presumibile) contestazione; il tutto, entro il secondo termine dell’art. 183, comma 6, c.p.c..

Assieme al dispositivo, occorre però depositare anche la chat preventivamente estratta da uno specialista (leggi perito forense) secondo le best practices di cui alla legge n. 48/2008 (e dunque le varie ISO/IEC 27035; 27037; 27067/12, RFC 2350, 3227, e le Linee Guida dell’AgID). È consigliabile, poi, inserire il testo della conversazione anche in uno degli atti di parte, al fine di costringere controparte alla contestazione ex art. 115 c.p.c..

A questo punto occorre chiedersi cosa succeda in caso di deposito degli screenshots della conversazione; la risposta è dipende. Lo screenshot di una chat Whatsapp, depositato come riproduzione informatica, ha l’efficacia probatoria dettata dall’art. 2712 c.c. e dunque fa piena prova se non disconosciuto; lo screenshot depositato con un’autentica notarile, risulta conforme all’originale ai sensi dell’art. 2719 c.c. (e, dunque, può sempre essere disconosciuto).

Per concludere, ai fini difensivi è sempre preferibile chiedere di ammettere dei testi sui fatti rappresentati nella chat.

Come contestare in giudizio una chat Whatsapp

In primo luogo, come già detto, la contestazione deve essere precisa e circostanziata, e non risolversi in formule di stile; in secondo luogo, la contestazione dipende dalla tipologia di deposito utilizzata da controparte. E così, sarà possibile evidenziare eventuali vizi tecnici (nel caso di screenshots, ad esempio), eventuali violazioni delle best practices (in caso di omissioni nella catena di custodia, ad esempio), o fatti contrari dimostrabili.

Anche se secondo la giurisprudenza maggioritaria questo tipo di contestazione può essere effettuata fino al termine di cui alla seconda memoria ex art. 183 c.p.c., è sempre opportuno disconoscere immediatamente quanto prodotto da controparte (ossia nella prima difesa utile).

Si tenga sempre presente che diversi modi di deposito, danno luogo a diversi gradi di “forensicità” (perdonatemi il termine); in tal senso, dalla (quasi) inattaccabile copia forense e dalla esportazione dal backup in cloud (iCloud o Google Drive che sia), si arriva ai facilmente attaccabili export della chat (la famosa funzione esporta chat) e screenshots.

Spunti giurisprudenziali

È ovvio che chi intende contestare il deposito di una chat Whatsapp come screenshot o come semplice file di testo avrà gioco facile; d’altronde la stessa giurisprudenza ha via via chiarito che la trascrizione dei messaggi WhatsApp è inutilizzabile e non può essere considerata congrua prova senza la produzione dei supporti informatici contenenti le conversazioni; e che la mera copia degli screenshots o fotocopie che riproducono i messaggi controversi, non assurgono alla dignità di prova spendibile, essendo necessario che tali riproduzioni siano validate nelle forme di legge (Trib. Milano Sez. lavoro, sentenza del 24.10.2017).

In caso di contestazione specifica e disconoscimento formale di tali messaggi, per valutare la veridicità di quanto asserito e verificare la corrispondenza della documentazione prodotta ai messaggi effettivamente inviati e contenuti su Whatsapp, il Giudice potrebbe disporre un’apposita consulenza tecnica d’ufficio.

Ciò presuppone il deposito, entro le debite scadenze processuali, del dispositivo nel quale è contenuta la conversazione in oggetto; al contrario, non potrebbe essere possibile conferire ad essa valore probatorio, neppure attraverso un ordine di produzione che, tenuto conto delle preclusioni processuali, sarebbe puramente esplorativo. In tal senso, nel rispetto dell’obbligo di deposito telematico, è opportuno fare istanza per il deposito “analogico” del dispositivo, a seguito della quale il Giudice potrà autorizzare il deposito del dispositivo ai sensi dell’art. 16 bis, comma 9, d.l. 179/2012.

Sfoglia altri articoli su CyberLaws

Avv. Paolo Palmieri

Lascia un commento